Due giorni dopo le
elezioni in Abruzzo abbiamo tutti i dati per ricostruire questa tornata
elettorale.
Il consiglio uscente della Regione è stato negli ultimi cinque anni guidato da
una coalizione di centro-sinistra anche se, a guardare le scorse tornate
elettorali, in Abruzzo dal 1995 non viene riconfermato il colore del consiglio.
Potremmo quindi dire che in questo caso non è così “straordinaria” la
vittoria del centro-destra (48% dei voti).
Tralasciando il fenomeno Lega che prende più del 27% nella sua prima
apparizione nella regione e l’ennesimo passo falso del M5S alle regionali,
vorrei focalizzarmi su quanto accaduto nel centro-sinistra.
La coalizione capeggiata da Giovanni Legnini prende più del 31% dei voti il
ché, dati i risultati delle politiche di Marzo, sembra vedere un
centro-sinistra ancora vivo. Un centro-sinistra però molto frammentato, composto
da una coalizione di liste civiche e partiti che riescono a racimolare una
buona fetta delle preferenze.
Il vero sconfitto di queste elezioni sembra però essere il PD, un partito che ottiene l’11% delle preferenze e che sembra non riuscire a riprendere il proprio elettorato.
La crisi del Partito è evidente e non è passata inosservata agli elettori tutti: il brand PD infatti sembra sempre essere più un peso che un valore.
Singolare, infatti, è la scelta del favorito alle primarie del partito Nicola Zingaretti di affrontare la campagna per l’elezione del nuovo segretario senza il logo del partito, ma solo con i suo slogo Piazza Grande ed i suoi colori giallo e blu.
Lo stesso Calenda, strenuo sostenitore di una lista inclusiva di progressisti ed europeisti, sembra essere sempre più lontano dal suo partito dalle cui fila non pare mai essere emerso un vero e proprio sostegno convinto al suo progetto, se non tirato per i capelli e con un filo di imbarazzo: le diverse correnti che concorreranno alla segreteria del partito non scalpitano, per usare un eufemismo, per issare il simbolo del PD su un’idea, quella dell’ex ministro, che parte dal riconoscimento dell’Europa come dimensione principale di confronto politico e che si rifiuta di considerarla Panacea di tutti i Mali moderni del paese.
La stessa cosa successa in Abruzzo sta accadendo anche ora in Sardegna con la candidatura di Massimo Zedda a capo di una coalizione in cui i simboli del PD sono sempre poco presenti e si punta tutto sull’immagine del giovane sindaco Cagliaritano.
Sembrerebbe, ormai, che nessuno faccia più affidamento al vecchio PD e che ormai da tempo sia pulsante una nuova voglia da parte della base di trovare nuovi modi, bandiere e colori visto lo scoraggiante epilogo della storia del Partito.
Il pericolo di questa frammentazione partitica è però che la presenza di una moltitudine di “cartelli elettorali” possa essere un problema per la qualità degli amministratori eletti. Infatti, i candidati inseriti nelle diverse liste civetta non saranno probabilmente tutti della qualità garantita invece, molto spesso, da liste che già lavorano nei territori ed espressione di lunghi percorsi di formazione politica ed amministrativa.
Le elezioni di fine mese ci diranno se la scelta del centro-sinistra isolano sia stata lungimirante o meno.
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